Al macabro ritmo di quasi un delitto al giorno, il femminicidio in Italia tocca cifre da emergenza sociale e mentre dall’Iran arrivano notizie di indicibili violenze inflitte alle giovani manifestanti, la prospettiva su una piaga antica ma mai così perpetrata, si estende con la pervasività tipica del nostro mondo globalizzato. Capirne l’origine e le cause può aiutare a pensare a nuovi interventi, visto che quelli già messi in campo in Occidente non hanno eradicato né tantomeno contenuto il fenomeno. È uno degli intenti di questo breve ciclo di lezioni, tenute da tre studiose che nelle rispettive discipline molto si sono dedicate alla dimensione femminile.
Il peccato dev’essere originale se dalle donne dell’antichità greca e romana abbiamo ereditato la condizione attuale e un sistema di regole giuridiche e sociali mai del tutto mutato. In prospettiva psicologica dobbiamo chiederci cosa non si sia colto del rapporto malato tra vittima e carnefice così difficile da sovvertire, e senza temere fraintendimenti proporre altre soluzioni, dolorose ma necessarie. Uno sguardo antropologico aiuterà a individuare quei meccanismi sociali e culturali che in ormai tutte le aggregazioni legittimano silenziosamente la violenza di genere.
Ricostruendo dalle fonti le vite delle donne nell’antichità greca e romana, Eva Cantarella dimostra come dobbiamo a quell’epoca una condizione femminile mai più riparata. Si limitava alla procreazione il ruolo della donna greca: anche l’educazione dei figli maschi, affidata al padre e all’amante mentore, le era sottratta. Un’esistenza domestica, lontana dalla polis, privata del diritto all’eredità. Diverso lo status della donna romana che potendo studiare ed ereditare nel tempo si emancipa, fino all’indipendenza, talvolta alla ricchezza e all’ingresso nella vita pubblica. Succede in età augustea, anche grazie all’intraprendenza delle donne, clamorosa in alcune circostanze, ma con la decadenza dell’Impero e la diffusione del Cristianesimo i diritti conquistati si perdono.
Analizzate le caratteristiche psicologiche e biografiche dei soggetti coinvolti, considerate le misure sociali erte a difesa delle donne maltrattate, Laura Pigozzi evidenzia come restino inefficaci i tentativi di fermare il fenomeno. Perché è tanto difficile, si domanda, sciogliere il legame vittima/carnefice? La sua strategia di azione propone di “devittimizzare la vittima”, cioè non stigmatizzandola solo come tale, ma attivandone invece quel senso di responsabilità che le permetterà di riconoscere il proprio ruolo attivo nella dinamica innestata. Un percorso doloroso, suscettibile di fraintendimenti se non tra gli operatori, ma necessario per tendare di disinnescare dinamiche di coppia tossiche.
In prospettiva antropologica, basandosi su studi condotti sia nelle società occidentali che presso etnie in Africa, Vanessa Maher punta il dito contro la legittimazione sociale della violenza maschile sulle donne. Un fenomeno poco analizzato dalla stessa antropologia sino agli anni Ottanta del Novecento, che oggi deve tenere conto proprio dei meccanismi sociali che lo scatenano. Oltre le differenze culturali ed etniche, la violenza domestica è sempre più di prossimità e ormai globalizzata, specchio fedele della nostra epoca.